Tra le parole di David Dalla Venezia

Cenni per una critica di Stefano Coletto

“La mia pittura dice in forma visibile idee astratte...”.

David pensa con la pittura, una pittura intrisa di concetti, satura di simboli; opere in cui il significato accompagna l’immagine, in cui significato e immagine crescono paralleli.
Il “suo” uomo e la “sua” donna, vivono in questa realtà staccata, centri di precise costruzioni geometriche che fissano il moto delle mani e le posizioni dei corpi, griglie che strutturano i luoghi anonimi dei suoi quadri; ecco l’angolo di una strada, la parete di una misteriosa stanza, l’illusionistica cornice di un quadro, l’interno di archi, nicchie e ovali di ispirazione classica, il prolungarsi infinito  di una immensa biblioteca.
Una pittura figurativa che in questi spazi mentali rappresenta con realismo azioni simboliche e surreali. I quadri però non hanno titolo, come se il pittore mettesse in discussione l’immediatezza visiva che sembra caratterizzarli a favore di una misteriosa ambiguità semantica che incuriosisce  l’osservatore.

“Preferisco, allora, lasciare all'intuito di ognuno la possibilità di sentire e comprendere il senso del mondo immaginario e simbolico che  evoco...”.

“Il mio viaggio nella classicità che è viaggio  contro il tempo...”.

Le figure del pittore si sovrappongono ad icone classiche. Vediamone alcuni esempi.
Il San Sebastiano, solitamente rappresentato legato ad un palo e infilzato dalle frecce diventa una donna seducente e conturbante, seminuda collocata in un paesaggio anonimo durante un misterioso meriggio.
L’uomo che si rivolge allo spettatore, che torce il collo sorpreso e che è rappresentato con accanto uno scheletro, sembra riproporre il “memento mori”, il concetto della vanità delle cose, della transitorietà del mondo.
L’uomo e la donna che escono da una foresta attraverso un’apertura che ricorda il sesso femminile, sesso che la stessa donna ostenta sollevando la gonna, paiono suggerire una versione simbolico - psicologica dell’Adamo ed Eva nel luogo edenico.
Il primo piano del volto femminile ricorda un’immagine religiosa, quasi un’estasi barocca.
L’uomo impersonale e sconosciuto che cade assomiglia agli angeli scorciati, imagine ricorrente nella storia dell’arte.
Una concezione quindi tesa a reinterpretare una tradizione iconologica con le inquietudini del nostro tempo, con l’immaginario personale del pittore e forse con le sue ossessioni inconsce.
L’importante però è mantenere alcuni elementi della storia dell'arte che hanno sfidato il succedersi degli eventi e delle interpretazioni: la classicità è lo strumento che immortala i contenuti della rappresentazione.

“Tradizione pittorica occidentale, che è fondamento e paragone per il mio modo di fare pittura...”.

“Contro l’Avanguardia e la sua ossessione per l’immanente, la spinta ossessiva verso l'ulteriore...”.

Una pittura che non contiene tracce di immanenza, di sperimentazione tecnica, di innovazione esasperata ed estremistica, caratteristiche delle Avanguardie di questo secolo. L’uomo con David si colloca nella dimensione dell’eterno, l’unica vera dimensione metafisica. In questo spazio noi vediamo come sotto un vetro le passioni, le ossessioni di un uomo psichicamente in tensione, mentalmente alienato e dimentico di sè. L’uomo in questi quadri pare un angelo in caduta, a volte un innocente spettatore, oppure in stato di sofferenza fisica, o come semplice testimone viaggiatore tra foreste, atmosfere aurorali, luoghi inesistenti e simbolici, interni sul nulla. Non ci sono narrazioni, storie eventi, o esperimenti sulla materia in sè e sul fare pittura come pura tecnica. Colori ad olio, sapiente gioco spaziale e prospettico, figure che si ripetono, levigate come statue dalla pelle tesa e liscia solo raramente sfiorate da leggeri giochi d’ombra e di luce.

“L’arte non si deve adeguare per forza ad un concetto di progresso tecnico...”.

“La donna è l’idea, la verità...”.

Parole come idea, verità, sono di genere femminile. La donna nei quadri di David appare spesso dominante; figura a volte monumentale, che desta sorpresa, ammirazione; altre volte rappresenta una sessualità ostentata, oppure un’estasi dei sensi.
Quando compare vicino all’uomo, a quest’uomo che cerca e che si cerca, disancorato dal mondo, quest’uomo simbolo frigido della realtà metafisica, la donna diventa una compagna della mente, colei che mostra i suoi occhi e il suo sesso: Origine? Verità? Luogo?. Questa figura tra tentazione e distacco, afferma la sua forza, la sua presenza anche destabilizzante. Nella fragile psiche dell’uomo di David se esiste amore esso pare caratterizzato da vicinanze, ma anche da inattingibilità, da non incontri, da attese e da abbracci senza sguardi; queste due figure, maschio e femmina, non si guardano mai.

“La mia pittura e l’inadeguatezza...”.

“Vorrei il silenzio per i miei quadri...”.

Un grande silenzio nel buio che tutto assorbe, e che sembra lasciare fragile vita a queste figure. Toglie i suoni quel nero, toglie il brusio che ci contraddistingue come esseri umani, assorbe i colori, il rosso vitale dei libri, il giallo denso della luce; due deboli candele sembrano per un momento rianimarlo, ma solo vuoto intorno, solo assenza di volume in quella natura morta; il nero circonda il bianco dei corpi e ne rende la pelle fredda e dura.
Eppure le opere di questo pittore sembrano voler emettere suoni, rumori, richiami sottili e prolungati. Basterebbe osservare le bocche aperte, i gesti e i movimenti, il cadere dei libri. Il nero, però, che è assoluto silenzio e vuoto, regna sovrano.

“Ciò che io dipingo è una chiara manifestazione della carenza di teoria tipica dell’arte contemporanea, anzi della civiltà contemporanea. Ciò che dipingo è la carenza stessa...”.

“L’arte esprime l’eterno non il divenire, l’attimo è eterno...”.

L’uomo di David è il pittore ma anche ogni uomo, è l’idea di uomo del pittore. Questa figura non è mai ferma, inerte, morta, ma è immobilizzata, bloccata, come folgorata in un istante che diventa sguardo di stupore o curiosità, caduta eterna nel buio, sforzo disperato per resistere a libri che schiacciano sommergono, salto gioioso e sovrumano, abbraccio violento e carnale, morso furioso di se stesso... Sono tutti istanti sospesi, irrigiditi in uno spazio enigmatico e geometrico, che sembrano fissare per sempre quell’azione, quell’accadere.
Dietro quell’accadere emerge dominante quasi sempre il nero, un’oscurità potente, che richiama il vuoto, un cielo senza stelle, un cielo del nulla in cui si stagliano per sempre le inquietudini umane.

“Poichè sono io che dipingo questi quadri è vero che sono ritratti di me stesso. Ma ulteriormente, in quanto ritratti di un uomo lo sono di ogni uomo; traggo da me ciò che vi è di comune a tutti gli uomini, e sottraggo ciò che mi differenzia da essi...”.

Un uomo calvo, con occhiali opachi, un intellettuale moderno (David stesso?) che partecipa al mondo che rappresenta, protagonista nel dolore, nella sofferenza e nel guardarsi, nel cercare in mezzo a rami e foglie nel voler vivere e nell’essere accompagnato dalla donna, suo eterno altro.
Una figura che pur nascondendo la propria identità per rappresentarci tutti, si lascia svelare, si presta come attore alla messa in scena di ogni momento del suo io, compresa la morte, l’assenza; perchè, cos’altro ci dicono quegli occhiali appoggiati su un piano, quasi assorbiti dall’ombra, se non una “fine”?